Guida informativa e pratica sulla saldatura a stagno dagli utilizzi a come eseguirla alla dissaldatura.
La saldatura a stagno deve il nome al materiale d’apporto, lo stagno. Più precisamente, un tempo il materiale d’apporto era costituito da una lega stagno-piombo, in ragione del 60 e 40%, ma in ottemperanza a direttive sulla salute, oggigiorno, il metallo d’apporto è costituito da una lega formata per il 96,% da stagno, 3% argento e 1% rame. Nella fattispecie più che di saldatura si dovrebbe parlare di brasatura, in quanto a fondere è il solo materiale d’apporto, e più precisamente di brasatura dolce, dal momento che il materiale d’apporto fonde ad una temperatura inferiore ai 400°C.
E’ un tipo di saldatura che richiede molta manualità, poiché spesso non è possibile sistemare in maniera stabile i pezzi da saldare, posizione che assumono solo dopo la saldatura. Andrebbero retti manualmente. Pertanto, per aver libere entrambe le mani per poter reggere e guidare saldatore e materiale d’apporto, ci si avvale di un’attrezzatura particolare, detta terza mano, formata da una solida base ed una serie di pinzette regolabili, che permettono di fissare i pezzi da saldare, avvicinarli ed allinearli nella posizione desiderata.
La sorgente di calore per la saldatura a stagno è rappresentata dal saldatore, tradizionale attrezzo dei radiotecnici, che può prevedere un’impugnatura a pistola o a penna (a stilo), che riscalda grazie ad una resistenza interna, opportunamente collegata alla rete elettrica, che trasmette il calore alla punta, la quale a sua volte lo trasmette al materiale d’apporto da fondere ed ai pezzi da saldare.
Lo stagno fuso si distribuisce tra i lembi dei pezzi da saldare per attrazione capillare, a patto che: i pezzi siano particolarmente puliti e privi di ossidazioni; il metallo d’apporto risulta caratterizzato da un’elevata fluidità e la distanza tra le parti da unire sia dell’ordine 1/10-1/20 di mm.
In particolare, per saldare contatti elettrici e componenti elettronici, cui si aggiunge il settore automobilistico, della bigiotteria, degli elettrodomestici, macchine da scrivere e da cucire.
1-Avvicinate e fissate i pezzi da saldare, avvalendovi se necessario della cosiddetta terza mano. I pezzi devono essere puliti, in particolare non devono presentare ossidazioni. In presenza di un velo sottile di ossidazione è sufficiente l’utilizzo della pasta da saldatura, da acquistare presso negozi di elettronica, anche se in piccole quantità questa pasta è presente nell’anima del filo utilizzato come metallo d’apporto. Alla presenza di questa pasta disossidante si deve l’eventuale comparsa di fumo durante il procedimento di saldatura.
2-Accostate per alcuni secondi la punta del saldatore ai due pezzi da saldare, quindi avvicinate il filo di stagno alla punta del saldatore in modo che qualche goccia si disponga tra i pezzi da unire.
Durante il procedimento di saldatura, fate in modo che la punta del saldatore risulti sempre coperta da uno strato di stagno fuso. E’ importante che la temperatura del saldatore sia in grado di fondere la giusta quantità di metallo d’apporto. Sia una quantità eccessiva che insufficiente di stagno è motivo di una saldatura di qualità scadente. Si parla, rispettivamente, di saldatura grassa e saldatura magra. In entrambi i casi bisogna intervenire, diminuendo o integrando il materiale d’apporto. L’eventuale metallo in eccesso va rimosso con la stessa tecnica utilizzata per dissaldare. Solo l’esperienza aiuta a capire come si comporta il materiale d’apporto, in quanto tempo fonde, in funzione della pressione esercitata e alla zona interessata dalla punta del saldatore. Durante il procedimento usate l’accortezza di non muovere i pezzi prima che lo stagno si sia completamente raffreddato.
3-Terminata la saldatura, una volta raffreddatasi, con l’ausilio di uno spazzolino di rame rimuovete gli eventuali residui del materiale d’apporto.
4-Immergete il pezzo saldato in una bacinella contenete acqua saponata o una soluzione in cui è stata disciolta della soda, in ragione di un cucchiaio per ogni 3lt d’acqua, al fine di bloccare l’effetto corrosivo del disossidante.
E' un’operazione combinata da eseguire con il saldatore e una treccia di fili di rame o una pompetta dissaldante. A queste ultime due è affidato il compito di asportare lo stagno che costituisce la saldatura, una volta fuso con la punta del saldatore. La treccia di sottilissimi fili di rame si presenta sotto forma di una fettuccia (striscia) che, una volta poggiata sulla saldatura da rimuovere, viene riscaldata con la punta del saldatore, calore che scioglie il legante della saldatura da dissaldare. Quest’ultimo, una volta fuso viene assorbito attraverso i microspazi presenti tra i fili intrecciati. Una volta utilizzata, la striscia va buttata, non è utilizzabile una seconda volta. La pompetta, simile ad una siringa, presenta una forma cilindrica che termina con un ugello, attraverso il quale viene aspirato lo stagno della saldatura da dissaldare, una volta fuso. Il funzionamento si basa su uno stantuffo che, dopo esser stato caricato, viene azionato da un pulsante.
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